Portogallo, nuova vittima dell'Europa 05-01-2014

La doppia polpetta avvelenata dell'Ue. Come risultato povertà e disperazione.

 Portogallo, nuova vittima dell'Europa

Se ne parla poco del Portogallo, eppure questo Paese europeo e mediterraneo merita la nostra attenzione non fosse per il fatto che, oltre ad una comune latitudine, aveva un tessuto economico e produttivo molto simile a quello italiano con una grande quantità di imprese manifatturiere medio piccole sane e floride.

Tutto ciò, naturalmente, sino a quando i tecnocrati europei non hanno imposto al Portogallo i dettami dell'austerity uniti, ecco la doppia polpetta avvelenata, ad un prestito "generosamente" offerto da Bce, Fmi ed Ue nel 2011.

All'epoca Lisbona aveva raggiunto un accordo per un piano triennale di aiuti per complessivi 78 miliardi di euro; l'obiettivo era un graduale contenimento del deficit che, dal 5,9% del Pil nel 2011, avrebbe dovuto abbassarsi al 3% nel 2013.
Il debito pubblico portoghese era nel 2011 molto alto, circa l'82,8% del Pil, ed in continua crescita e la fragilità del Paese veniva incrementata ulteriormente da una grave perdita di competitività iniziata peraltro nei lontani anni '90 e riflessa nel disavanzo delle partite correnti.
Nel tempo, la mancata crescita del prodotto interno lordo aveva reso impossibile mantenere in ordine le finanze pubbliche e negli ultimi 12 anni il deficit di bilancio si era stabilizzato intorno al 4,6% del Pil.

L'asta dei titoli di Stato con scadenza nel 2014 e nel 2020, alla quale il Portogallo era ricorso nel 2011 aveva fatto affluire nelle casse ben 1,25 miliardi di euro; pur essendo riusciti ad abbattere il rendimento dei titoli al 6,7% il sollievo dell'economia lusitana era stata temporanea.
Nello stesso mese, infatti, 350.000 dipendenti pubblici si erano trovati lo stipendio ridotto di 243 euro; in contemporanea l'Iva era passata dal 21% al 23%, erano stati aumentati i prezzi di benzina, autostrade e trasporti, le pensioni erano state congelate, ridotti gli assegni familiari e l'indennità di disoccupazione.

Il Portogallo si era prefissato nel 2011 di ridurre il deficit al 3% del Pil entro il 2013 con manovre di tagli alla spesa pubblica ed aumento dell'imposizione fiscale.

Il tutto, ovviamente, per ottemperare alla tirannia economica dell'Ue.

Nel 2013 il Presidente Cavaco Silva ha denunciato l'inefficacia delle politiche economiche adottate dai politici suoi predecessori sottolineando come il Portogallo fosse stato trascinato in un devastante vortice di austerità, disoccupazione e recessione che si auto alimentava con il risultato di aver condotto il Paese in una condizione socialmente insostenibile.

I casi spagnolo, greco portoghese ed italiano hanno sottolineato una visione politico economica ora più che mai strabica. Infatti, se il Fmi ha iniziato a riconoscere di avere sottostimato gli effetti di aumento della disoccupazione e di contrazione della domanda interna dovuti alle misure di rigore imposte come condizioni per il salvataggio, a Bruxelles e Francoforte si continua a pensare che i tagli alla spesa pubblica uniti ad una maggiore pressione contributiva siano lo strumento migliore per il consolidamento fiscale dei Paesi in difficoltà.

Nel frattempo il fallimento delle terapie imposte è sotto gli occhi di tutti.

Nonostante lo zelante impegno profuso per osservare i diktat comunitari e malgrado la fiducia nella ripresa che Bruxelles aveva pronosticato per l'estate del 2013, il Portogallo vive tuttora una crisi devastante e senza fine.

In nome della globalizzazione europea il tessuto produttivo portoghese è stato smantellato ed al posto dei suoi prodotti spadroneggiano quelli orientali.

Anche su quest'ultima, amara considerazione gli elementi comuni con il caso italiano sono evidenti.

Non comune con l'Italia, purtroppo, è stato il coraggio del Presidente Cavaco Silva nello stigmatizzare le responsabilità comunitarie nella rovina finanziaria portoghese additando alla collettività i colpevoli della doppia polpetta avvelenata somministrata al Paese.